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Di Mario Dusi. L’esecuzione di accertamenti presuntivi sui redditi dei professionisti, qualora siano fondati esclusivamente su compensi ritenuti inferiori ai minimi consigliati dall’associazione professionale di appartenenza, è illegittima: è quanto sancito con la sentenza n. 80/7/2023 dalla Corte di Giustizia Tributaria dell’Abruzzo, la quale sembra così stabilire un cambio di rotta rispetto ai precedenti della Cassazione (cfr. sentenza n. 6527/2013).

Di seguito la vicenda.

L’ufficio delle entrate aveva contestato a un commercialista la sua dichiarazione dei redditi, ritenendo non possibile che i compensi fatturati fossero più bassi di quelli consigliati dall’associazione nazionale dei commercialisti, e accertando, di conseguenza, una maggiore tassazione.

Il commercialista aveva impugnato il provvedimento, affermando che l’ufficio pretendeva di assoggettarlo a tassazione su compensi non incassati, avendo il medesimo ente presunto il suo reddito esclusivamente sulla base del numero di clienti e dei minimi indicati dall’associazione di riferimento.

Replicava l’ufficio come non potesse essere possibile che un soggetto economico prestasse la propria attività senza percepire alcun corrispettivo o richiedendo compensi irrisori.

La Cgt dell’Abruzzo ha accolto le istanze del contribuente, ritenendo troppo vaga e generica la ricostruzione dell’ente: precisa, infatti, la corte che i minimi tariffari vengono adottati dagli ordini professionali sulla base di estrapolazioni statistiche e che sono da considerarsi meramente quali suggerimenti; di conseguenza, tali importi non possono costituire, da soli, elemento fondante per un accertamento.

Forse, finalmente, il vento sta cambiando e gli enti pubblici vengono sottoposti (anch’essi) all’onere della prova come tutte le parti di una controversia: alleluia!