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-di Mario Dusi. In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, basato su esigenze di risparmio, è onere del datore di lavoro indicare le ragioni per le quali la scelta cade su un determinato lavoratore piuttosto che altri: così la Corte di Cassazione nell’ordinanza del 14 novembre 2023, n. 31660.

La vicenda trae origine da un licenziamento intimato da una fondazione musicale nei confronti del proprio sesto violoncello: l’istituzione aveva motivato la soppressione del ruolo ritenendola una misura necessaria per il ripianamento del deficit di bilancio.

Il lavoratore aveva impugnato il provvedimento e, a seguito del rigetto nei primi due gradi di giudizio, aveva proposto ricorso in Cassazione, deducendo l’inesistenza del nesso di causalità tra licenziamento e ragioni.

La Suprema Corte riteneva fondato il motivo.

Osserva, infatti, la Corte come la sentenza gravata si limitasse ad asserire che “accertato il passivo di bilancio, il licenziamento fosse necessariamente connesso alle necessità di conseguire il risparmio in un determinato settore lavorativo”.

Una tale affermazione, tuttavia, risulta (secondo gli Ermellini) tautologica e ingiustificata, non comprendendosi da quali elementi di giudizio la Corte di Appello avesse in effetti ricavato che le esigenze di contrazione dei costi dovessero limitarsi ad un determinato settore lavorativo piuttosto che ad un altro: non risulta perciò, secondo la Cassazione, correttamente accertato che i costi da ridurre dovessero essere necessariamente quelli del sesto violoncello e riguardare quindi proprio il posto di lavoro rivestito dal ricorrente.

Nella sentenza di merito, inoltre, la giudicante sosteneva che “qualsiasi risparmio di spesa, a prescindere dall’ammontare, sarebbe stato comunque in grado di giustificare il licenziamento e quindi la scelta del lavoratore”, con ciò rigettando le obiezioni del lavoratore relative alla mancata soppressione di un altro e più costoso posto di lavoro, nello specifico quello del terzo corno, poiché si tratterebbe di “scelte datoriali insindacabili”.

Interpretazione non condivisa dalla Cassazione, secondo cui la sentenza gravata ha violato non solo le regole in materia di accertamento del necessario nesso causale tra la ragione oggettiva addotta e la soppressione del posto, ma anche quelle sull’effettività della ragione economica addotta a fondamento del giustificato motivo oggettivo.

Spiega, infatti, la Suprema Corte che “ipotizzata una generale necessità di procedere ad una politica di contenimento dei costi, diviene necessario approfondire […] le ragioni per le quali la scelta cade su quel determinato lavoratore, dovendosi prendere in considerazione altre posizioni di lavoro, tanto più se si trattava di ruoli comparabili”: ciò al fine di verificare l’effettiva sussistenza della ragione organizzativa e/o produttiva collegata ad una politica di riduzione dei costi, e poter escludere una possibile mancanza di veridicità o pretestuosità della ragione addotta dal datore di lavoro.

In buona sostanza, la Cassazione pretende l’esatta prova che proprio quel dipendente debba essere licenziato – in parte entrando nelle scelte datoriali – per evitare non veritiere dichiarazioni e motivazioni del datore stesso: un limite di applicazione che rischia di minare la libertà imprenditoriale.