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– di Mario Dusi

Il luogo in cui un lavoratore svolge la propria attività in modalità smart working non è sufficiente ad individuare la competenza per territorio del Tribunale in caso di controversie. È quanto chiarito dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza del 5 luglio 2023, n. 19023.

Brevemente la vicenda: una società, nel proporre opposizione al ricorso presentato da un suo dipendente presso il Tribunale di Roma, aveva chiesto in via preliminare che ne fosse dichiarata l’incompetenza territoriale a favore, alternativamente, del foro di Genova (sede operativa della società, in cui era effettivamente addetto il ricorrente) o di Udine (sede legale della società).

Il Tribunale di Roma aveva dichiarato la propria incompetenza per territorio, ritenendo competenti sia il Tribunale di Genova e di Udine, sia il Tribunale di Civitavecchia (ove risultava che il ricorrente effettivamente risiedesse e lavorasse in smart working, non essendo invece comprovato che il medesimo svolgesse la propria attività anche dalla sua abitazione di Roma).

Avverso tale provvedimento, la società aveva dunque proposto regolamento di competenza, sostenendo che non si potesse radicare la competenza nel foro di Civitavecchia, dal momento che, presso l’abitazione del lavoratore, non era costituito alcun nucleo di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, e dovendosi escludere che la competenza territoriale potesse radicarsi nel mero luogo di svolgimento dell’attività lavorativa.

La Corte ha ritenuto fondata l’istanza.

Ricorda, infatti, la Corte che “secondo l’art. 413 cpc, il giudice del lavoro è competente per territorio alternativamente nel luogo in cui è sorto il rapporto, in quello dove si trova l’azienda ovvero, infine, in quello ove si trova la dipendenza aziendale alla quale il lavoratore è addetto”, precisando che “per dipendenza aziendale va inteso il luogo in cui il datore ha dislocato un nucleo, seppur modesto, di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa”.

Benché l’orientamento della Suprema Corte sia di intendere il concetto di “dipendenza aziendale” in senso più ampio rispetto a quello di “unità produttiva” presente in altre norme (in accordo con l’intenzione del legislatore di garantire che il foro speciale del lavoro sia il più vicino possibile alla prestazione lavorativa e dunque al lavoratore), è tuttavia necessario che vi sia comunque un collegamento di tipo oggettivo o soggettivo tra il luogo in cui il lavoratore svolge la propria attività e l’organizzazione aziendale.

Un tale collegamento è stato ritenuto sussistente dalla Corte, per esempio, nell’ipotesi di utilizzo, da parte del datore di lavoro, di un’area di terzi adibita a rimessa di autoveicoli, da cui partiva poi l’attività dei dipendenti (collegamento oggettivo – Cass. n. 23053/2020), o nel caso di un inviato fuori sede di un giornale, il cui domicilio poteva essere considerato un’articolazione dell’organizzazione aziendale, in virtù del particolare tipo di attività svolta (collegamento soggettivo – Cass. n. 12907/2022).

Nel caso trattato, invece, non è stato possibile ravvisare alcun elemento atto a caratterizzare l’abitazione del lavoratore quale dipendenza aziendale, dal momento che l’attività di smart working è stata presentata dal lavoratore solo come luogo della prestazione lavorativa (che, peraltro, poteva essere svolta indifferentemente sia dall’abitazione di Civitavecchia, sia da quella di Roma), senza fornire alcun collegamento, né oggettivo né soggettivo, con l’organizzazione aziendale.

La Corte, pertanto, ha accolto il regolamento necessario, dichiarando la competenza per territorio esclusivamente (in alternativa) del foro di Genova e del foro di Udine.