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– di Mario Dusi.

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.L. n. 76 del 16/07/2020, recante “misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”, che introduce importanti novità ed obblighi per le società ed i liberi professionisti, iscritti ad un Albo o ad un elenco in materia, di c.d. “domicilio digitale”.

Il domicilio digitale altro non è che un indirizzo di PEC (Posta Elettronica Certificata) che deve essere dichiarato alla Pubblica Amministrazione: una volta comunicato e inserito in anagrafe, lo stesso fa stato a tutti gli effetti, e deve essere utilizzato da tutte le Pubbliche Amministrazioni soggette al Codice dell’Amministrazione Digitale (D.Lgs. n. 82/2005, CAD), per ogni comunicazione e notifica al cittadino o impresa.

Di particolare importanza è l’art. 37 del Decreto Legge, che (apportando rilevanti modifiche all’art. 16 del D.L. 185/2008, in tema di semplificazione delle comunicazioni nei rapporti tra la Pubblica Amministrazione, le società e i professionisti), prevede per le società, come pure per tutte le imprese individuali, l’obbligo di dotarsi di un domicilio digitale entro e non oltre il 01.10.2020, e di comunicarlo obbligatoriamente al Conservatore del Registro delle Imprese.

La mancata comunicazione comporterà per le società l’assegnazione d’ufficio di un nuovo domicilio digitale, oltre che l’irrogazione di pesanti sanzioni amministrative pecuniarie (da parte dell’ufficio del Registro delle Imprese) che vanno da un minimo di 206 euro ad un massimo di 2.064 euro, ossia il doppio di quelle previste dall’art. 2630 c.c. (omessa esecuzione di denunce, comunicazioni o depositi).

Per quanto riguarda invece i liberi professionisti, soggetti ad identico onere di dotarsi di un domicilio digitale (PEC), è stato introdotto l’obbligo di diffida ad adempiere, entro trenta giorni, da parte del collegio o dell’ordine di appartenenza, e, in caso di inottemperanza alla diffida, l’applicazione della sanzione della sospensione dal relativo albo, fino alla comunicazione del domicilio digitale.

La norma trova applicazione anche alle aziende straniere operanti in Italia nella forma di sede secondaria, uffici di rappresentanza (branch) e agli avvocati “comunitari” stabiliti.

L’Italia è uno dei primi Stati nella EU a dotarsi di sistemi di comunicazione rapidi e certificati per snellire i rapporti con la PA ed obbligare professionisti ed imprese ad essere sempre rintracciabili.