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– di Mario Dusi.

Le società straniere operanti in Italia, pur non avendo sede nel nostro Paese, devono anch’esse rispettare le prescrizioni del D.Lgs. 231/2001 (la cosiddetta responsabilità penale/amministrativa delle aziende), poiché anche nei loro confronti vi è ora la certezza dell’applicazione della norma, in forza della sentenza del 7 aprile 2020 numero 11626 della Corte di Cassazione.

In un importante caso in cui delle società olandesi, convenute davanti al Tribunale di Roma, eccepivano (tra le altre) la carenza di giurisdizione del Tribunale italiano in relazione all’applicazione della nota normativa 231/2001, la Corte di Cassazione, ha ribadito ulteriormente (rispetto alle precedenti sentenze tra cui quelle nel famoso caso Thyssen-Krupp) e precisamente motivato il coinvolgimento anche di società straniere in caso di apertura di un procedimento penale ex 231/2001.

Partendo dal semplice principio per il quale “non essendovi ragione alcuna per ritenere che le persone giuridiche siano soggette ad una disciplina speciale rispetto a quella vigente per persone fisiche, sì da sfuggire ai principi di obbligatorietà e territorialità della legge penale qualificati dagli articoli 3 e 6 del Codice Penale” la Suprema Corte ritiene che anche gli enti stranieri debbano rispondere degli effetti della propria condotta (o quella dei propri incaricati), ai sensi del noto decreto legislativo, a prescindere appunto dalla loro nazionalità, poiché in caso contrario vi sarebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra la persona fisica straniera e la persona giuridica straniera.

Inoltre nel caso in cui non si applicasse la sanzione (e dunque il coinvolgimento in un procedimento penale) agli enti stranieri, quelle imprese godrebbero di una indebita alterazione della libera concorrenza rispetto agli enti nazionali, consentendo ciò alle aziende non italiane di operare sul territorio italiano senza dover sostenere i costi necessari per l’applicazione della norma, tra cui la implementazione di idonei modelli organizzativi (i cosiddetti MOG), per limitare possibilmente la propria responsabilità.

Alla imposizione della normativa ex D.Lgs. 231/2001 non si applicano le norme del cosiddetto Diritto Internazionale Privato italiano (legge numero 218 del 1995), che hanno carattere puramente civilistico; così la Suprema Corte in tema!

Conclude sostanzialmente la Cassazione affermando il principio di diritto secondo il quale “la persona giuridica è chiamata a rispondere dell’illecito amministrativo derivante da un reato presupposto, per il quale sussiste la giurisdizione nazionale, commesso dai propri rappresentanti o soggetti sottoposti alla altrui direzione o vigilanza, in quanto l’ente è soggetto all’obbligo di osservare la legge italiana, in particolare quella penale a prescindere dalla sua nazionalità o dal luogo ove essa abbia la propria sede legale ed indipendentemente dall’esistenza o meno in Italia il Paese di appartenenza di norme che disciplinano in modo analogo la medesima materia, anche con riguardo alla predisposizione e all’efficace attuazione di modelli di organizzazione e di gestione atti ad impedire la commissione di reati, fonte di responsabilità amministrativa dell’ente stesso”.

Da quanto sopra si evince dunque (pacificamente) che le aziende straniere – che spesso confondono il concetto della norma italiana 231/2001 con quello generico di “compliance” – di fatto devono riflettere ogni volta che svolgono attività sul territorio italiano (soprattutto nel settore degli appalti e nei rapporti con la Pubblica Amministrazione) che anche ad esse si applica (anche qualora non avessero alcuna sede nel territorio nazionale) la normativa ex D.Lgs. 231/2001, come peraltro già indicato dalla sentenza del Tribunale di Lucca (31/07/2017 numero 222) del tristemente noto incidente ferroviario di Viareggio.

La conoscenza e “cultura della 231” dovrà essere quindi molto ampliata anche in direzione delle aziende straniere, che, applicando preventivamente la norma, potranno così evitare di trovarsi nella spiacevole condizione di essere sottoposte ad un procedimento penale in Italia, con il rischio di incorrere in importanti sanzioni, anche economiche.