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– di Fabrizio Angella.

Verranno esaminati nel prosieguo i potenziali profili di responsabilità penale ed amministrativa da reato che possono insorgere in caso di contagio da COVID-19 di uno o piu’ dipendenti e le possibili misure volte ad evitare il rischio di contagio.

A) COVID-2019 e impatto dei DPCM sull’attività di impresa ed i conseguenti obblighi a carico degli enti e degli imprenditori.

L’attuale situazione di emergenza derivante dalla diffusione del COVID-19 in Italia ha avuto un importante e fortissimo impatto sia sulle persone fisiche (soggette ad importanti limitazioni di movimento, nonché dei propri diritti fondamentali), sia sulle aziende, destinatarie di diversi e precisi provvedimenti emanati dall’Autorità governativa.

Fatta eccezione per le attività che il Governo (con l’emanazione dei DPCM dei giorni 8 e 9 marzo 2020) ha ritenuto necessario sospendere temporaneamente (cfr. i citati DPCM e l’allegato n° 1 al DPCM 11 marzo 2020), prima nella Regione Lombardia ed in alcune Province (limitazioni poi estese a tutto il territorio nazionale), sono infatti moltissime le imprese ancora in piena attività, ed alle quali il Governo ha fornito alcune indicazioni al fine di contrastare la diffusione dell’epidemia, demandando quindi ai datori di lavoro una serie di valutazioni e decisioni operative di estrema delicatezza, da adottare con massima urgenza ed in una situazione in continua modificazione.

B) La posizione “di garanzia” a carico del datore di lavoro.

L’attuale contesto emergenziale determina l’estensione della posizione di garanzia gravante sul datore di lavoro nello svolgimento dell’attività produttiva, il quale -notoriamente- deve principalmente, ai sensi dell’art. 2087 c.c., “adottare nell’esercizio dell’impresa le misure.…necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, tanto comportando la necessità di ridefinire ed adeguare l’organizzazione aziendale onde evitare il concreto rischio di contagio da c.d. “coronavirus”.

Sebbene il rischio di contagio non possa ricomprendersi tout-court entro i confini del rischio professionale dell’impresa (salvo ovviamente per quelle attività, pubbliche o private che siano, che si trovano a stretto contatto con tale rischio di natura biologica), tuttavia l’attività di prevenzione da parte del datore di lavoro non può certo limitarsi ad impedire rischi diretti ed immediati relativi alla mansione svolta dai lavoratori impiegati nell’ipresa, in quanto le misure di sicurezza devono necessariamente ricomprendere “la valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza” dei medesimi, secondo quanto infatti dispone l’art. 15 del Testo Unico Sicurezza sul Lavoro (D.lgs. 81/2008).

Tanto trova peraltro esplicita conferma in quanto disposto dal Decreto 11 marzo 2020 -c.d. “Cura Italia”-, il quale infatti ha equiparato i casi di infezione da COVID-19 avvenuti “in occasione di lavoro” agli infortuni occorsi sul lavoro, prevedendo specificamente che “il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato”.

C) Il contagio per il COVID-19 ed il profilo del “nesso causale”.

Tuttavia il tenore letterale della norma suscita alcune perplessità, in quanto viene qualificato come “infortunio” un evento che parrebbe invece doversi propriamente ricondurre entro la categoria della “malattia professionale”, giacché esso deriva dalla esposizione (seppur avvenuta in un periodo temporale estremamente ridotto) ad un fattore di rischio, quale appunto il COVID-19, e non già da un c.d. “evento traumatico”.

La scelta legislativa si riflette quindi inevitabilmente sul decisivo accertamento del “nesso di causalità”, giacché la previsione del citato Decreto parrebbe alludere (e di fatto introduce) ad una specie di “presunzione”, che collega direttamente il contagio, verificatosi nell’occasione lavorativa, ad una negligenza da parte del datore di lavoro.

Tuttavia, per poter attribuire l’evento ad una “responsabilità colposa” (e ciò tanto più nel caso di malattie ad eziologia mono-fattoriale – quale appunto quella derivante dall’infezione da COVID-19 – che possono cioè conseguire da molteplici circostanze di esposizione al fattore di rischio), sarà necessario accertare in sede giudiziale, ed al di là di ogni ragionevole dubbio (cfr. Cassazione Penale S.U. 11.09.2002 n. 30328, c.d. “sentenza Franzese”), che il contagio sia avvenuto proprio sul luogo di lavoro, verificando successivamente se il diverso comportamento preteso da parte del datore di lavoro sarebbe stato idoneo, o meno, ad impedire l’evento (cfr. Cassazione Penale S.U. 24.04.2014 n. 38343, c.d. “sentenza Thyssenkrupp”).

D) Le possibili ipotesi di lesioni e omicidio colposo nei confronti dell’ imprenditore e dell’ente (T.U. 81/2008 e D.Lgs. 231/2001).

In caso di contagio del prestatore di lavoro è quindi verosimile che possano venire contestate a titolo di colpa (al netto dei una approfondita valutazione del nesso di causalità) le fattispecie di lesioni/omicidio per violazione della normativa sulla sicurezza sul lavoro: ciò anzitutto in capo al datore di lavoro, ma anche in capo alla società a titolo di responsabilità amministrativa da reato ex D.lgs. 231/2001 (l’art. 25-septies del citato D.Lgs. prevede infatti gli artt. 589 e 590 quali “reati presupposto”), qualora l’illecito venga commesso a vantaggio o nell’interesse della stessa.

A quest’ultimo riguardo si pensi, ad esempio, al “risparmio di spesa”, che la giurisprudenza di legittimità (cfr, ad esempio, Cassazione Penale, Sez. IV, 27.09.2019 n.39741) considera quale indice rivelatore dell’ “interesse e vantaggio” dell’ente, che nell’attuale situazione potrebbe essere individuato nel mancato acquisto di dispositivi di protezione individuale, oppure nella mancata chiusura di reparti di produzione per mantenere integra la produzione e quindi il volume di affari.

E) L’improcrastinabile necessità del “risk assessment” da parte dell’impresa.

E’ perciò opportuno che le aziende (e non solo quelle attualmente ancora operative!) adottino immediatamente adeguate procedure idonee a prevenire il rischio di contagio da COVID-19, inserendole con pari tempestività nel Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo.

Non a caso la rilevanza dell’attività preventiva è sottolineata nel “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, sottoscritto in data 14 marzo 2020 da Governo e Parti sociali, che fornisce istruzioni pratiche da attuare nell’ organizzazione dell’attività lavorativa, e che ben possono essere adottate anche mediante l’adozione di “protocolli aziendali”.

Ecco allora la priorità ed importanza di effettuare una valutazione del rischio (“risk assessment”), approfondendo le aree di lavoro e gli individui ritenuti soggetti allo specifico rischio-contagio da prevenire, individuando il grado del rischio individuato e le reali modalità con cui il rischio stesso può concretizzarsi per poterlo adeguatamente prevenire ed evitare.

In un successivo momento, dopo aver determinato prioritariamente le misure collettive rispetto a quelle individuali (e ciò secondo la gerarchia stabilita dalla normativa ex artt. 15 e 75 T.U.S.L., come pure dalla giurisprudenza -cfr., ad esempio, Cassazione Penale, Sez. IV, 26.04.2016 n.47834), i protocolli così determinati dovranno essere applicati anzitutto alla complessiva strutturazione dell’ organizzazione lavorativa, prevedendo la separazione degli ambienti di lavoro (anche favorendo lo smartworking, se ed ove possibile), come pure quella interpersonale, anche mediante sistemi fisici e/o tecnici, non ultimo prevenendo il c.d. “droplet”.

A questo punto, potranno essere forniti ai dipendenti idonei dispositivi di protezione individuali (guanti e mascherine) e, da ultimo, qualora siffatte misure dovessero risultare ancora insufficienti, l’impresa dovrà provvedere ad una ulteriore ridefinizione organizzativa, ad esempio mediante la riorganizzazione dei turni, la riduzione degli orari di lavoro, la temporanea chiusura dei reparti.

F) In particolare: la “continuità di azione” da parte dell’Organismo di Vigilanza.

In sintesi, quindi, anche il rischio di infezione da COVID-19 deve essere impedito adottando tutte le possibili misure a disposizione, tornando ad evidenziare che, in caso di contagio del dipendente dovuto a negligenza del datore di lavoro, potrà essere chiamato a rispondere sia quest’ultimo personalmente, sia l’ente a titolo di responsabilità amministrativa.

Merita allora sottolineare, in particolare, che, al fine di prevenire tale eventualità di importante rilevanza penale, è indispensabile che venga garantita la “continuità di azione” da parte dell’Organismo di Vigilanza (requisito necessario per poter beneficiare dell’esimente di cui all’art. 6 del D.Lgs. 231/2001), il quale (ben potendo peraltro operare anche con modalità da remoto, tanto più considerata la situazione emergenziale quale quella attuale) è tenuto ad informare prontamente l’organo esecutivo eventualmente intempestivo nell’adottare le misure opportune atte a prevenire i rischi del contagio rispetto ai propri dipendenti, e non solo rispetto a questi, venendo infatti in rilevo le possibili figure di ospiti, clienti, collaboratori, fornitori dell’impresa nell’esercizio della sua attività produttiva imprenditoriale.

G) Sintesi e conclusioni.

L’attuale ed ancora purtroppo crescente diffusione del virus Covid-19 a livello nazionale, e l’adozione di misure normative sempre più stringenti da parte del Governo, volte ad arginare l’epidemia contagiosa attualmente in corso, impongono stringentemente alle società notevoli sforzi, e non solo da un punto di vista immediatamente economico.

I provvedimenti governativi ad oggi adottati hanno infatti previsto, oltre alle limitazioni alle attività produttive (valevoli su tutto il territorio nazionale), la sospensione delle attività di reparti aziendali non indispensabili alla produzione, nonché l’adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio e  l’implementazione di strumenti di protezione individuale.

Risulta allora più urgente l’esigenza di provvedere, all’adozione di misure precauzionali volte al contenimento del rischio epidemico, soprattutto con riferimento alle situazioni che comportano la compresenza di più persone ed in cui, di conseguenza, più concreto è il rischio di contagio.

L’attivazione delle società in tal senso trova il suo fondamento normativo non solo nelle più recenti prescrizioni governative, ma anche (e soprattutto) nell’art. 2087 c.c. e nel Testo Unico in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (D.Lgs. 81/2008), che pongono, come si è detto, in capo al datore di lavoro il preciso obbligo di adottare tutte le misure atte a tutelare i propri dipendenti e collaboratori, anche i riferimento al cd. “rischio biologico”.

Pertanto, sebbene nel caso di specie l’esposizione al rischio biologico non sia, per molte delle imprese intrinsecamente connessa all’attività professionale e, quindi, il predetto rischio possa essere considerato “generico”, è tuttavia opportuno che tutte  società provvedano a:

1)         valutare i rischi di contagio in azienda, coinvolgendo le funzioni con attribuzioni in materia antinfortunistica (ossia, datore di lavoro, RSPP e medico competente) e aggiornando conseguentemente il DVR, individuando, se possibile, una figura aziendale ovvero un comitato ad hoc, preposto a monitorare gli aggiornamenti inerenti all’evento costantemente forniti dalle fonti istituzionali, quali il Governo, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), la Regione competente ed il Ministero della Salute.

2)         Coinvolgere i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza, i quali dovranno essere consultati, ai sensi dell’art. del 50 D.Lgs. 81/2008, in sede di aggiornamento della valutazione dei rischi.

3)         attuare una continua ed efficace campagna informativa intesa a garantire la diffusione interna delle norme comportamentali e delle raccomandazioni al fine di contenere la diffusione del virus.

Quanto poi ai protocolli anti-contagio, si ribadisce la recente adozione di un Protocollo di gestione delle emergenze tra il Governo e le Parti Sociali, che fornisce utili indicazioni operative a tutte le Società che in queste settimane proseguono l’attività produttiva.

4)         In particolare, è opportuno che le società adottino misure di sicurezza chiare ed efficaci, quali, ad esempio:

–           la sensibilizzazione dei propri dipendenti al continuo e costante rispetto delle corrette indicazioni per l’igiene delle secrezioni respiratorie e delle mani, verificando puntualmente che sia sempre messo a disposizione, ed in più locali della società, “dispenser” di igienizzanti a base alcolica.

–           La sospensione delle trasferte di lavoro, ove non indispensabili ed improrogabili, ed il contingentamento degli spostamenti nei siti produttivi.

–           La promozione di modalità di lavoro quali lo “smart working”, anche in relazione alle modalità definite con apposite normative nazionali.

–           La limitazione di riunioni, incontri e contatti con soggetti esterni, garantendo, soprattutto con riguardo al personale di “front office,” il massimo rispetto delle distanze interpersonali minime, mediante apposita segnaletica orizzontale o schermi protettivi ai desk.

–           Una adeguata ed efficiente pulizia e sanificazione dei locali e delle postazioni di lavoro più facilmente frequentate ed utilizzate dai lavoratori e dagli utenti esterni, nonché la frequente ventilazione degli ambienti di lavoro.

–           La distribuzione ai lavoratori, impegnati nei reparti produttivi o negli uffici in cui non sia possibile garantire la distanza interpersonale minima di un metro, di adeguati dispositivi di protezione individuale (quali guanti monouso e mascherine con filtro) e una corretta attività formativa sul relativo utilizzo.

–           Il contingentamento dell’accesso alle aree comuni.

H) Compliance aziendale.

Ovviamente, la previsione e approntamento di consimili cautele assume massimo rilievo anche in termini di “compliance” aziendale, rappresentando infatti un efficace strumento di verifica dell’adeguatezza del Modello Organizzativo adottato dalla società al fine di prevenire i reati di cui all’art. 25 septies, D.Lgs. 231/2001.

Un continuo coordinamento con l’Organismo di Vigilanza, chiamato a verificare la conformità delle misure adottate in ordine alla prevenzione dei reati, rappresenta infatti, e sicuramente, un utile elemento idoneo ad escludere la responsabilità della società in caso di possibili ed eventuali “contestazioni ex D.Lgs. 231/2001”.

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