– di Mario Dusi.

In un caso di separazione famigliare un padre aveva inviato un SMS alla moglie confermando che avrebbe pagato al 50% il costo dell’asilo del loro unico figlio.

Nel corso del giudizio, azionato con decreto ingiuntivo proprio sulla base di quel SMS, la moglie chiedeva al marito di pagare il costo dell’asilo depositando la stampa del messaggio.

Il decreto veniva opposto e in occasione di udienza con comparizione delle parti il padre non contestava in maniera specifica questi documenti; la vicenda giungeva fino alla Suprema Corte di Cassazione, la quale con sentenza 19155 del 13 giugno 2019 qualificava come prova piena gli SMS (ed anche in generale le e-mail) nel processo italiano.

Come noto l’articolo 2712 del Codice Civile italiano (lo si ricorda, redatto nel 1942 e solo aggiornato con l’inserimento della parola “informatica” con provvedimenti legislativi del 2005 e del 2010) prevede il concetto che “le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche in genere e ogni altra rappresentazione meccanica di fatti o di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”.

La Cassazione ha contestato al padre che non aveva promosso una chiara opposizione (se non quella di rito, negli atti processuali) alla documentazione prodotta dalla ex moglie, specificando i giudici della Suprema Corte che il disconoscimento da effettuarsi (ovviamente nel rispetto delle tempistiche e delle preclusioni processuali) anche per i documenti informatici prodotti in causa deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito e concretizzarsi nella allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra la realtà fattuale e quella riprodotta dal documento.

In questi termini i moderni mezzi di comunicazione, oramai usufruiti in tutti i rapporti sia personali che lavorativi, fanno piena prova in ambito processuale civile italiano.