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– di Laura Basso.

Il Tribunale di Novara (05 luglio 2018, Presidente Dott. Lamanna, Relatore Dott. Iaquinta), nel sentenziare in merito ad un ricorso per la dichiarazione dello scioglimento di una unione civile tra due persone dello stesso sesso, ha offerto una ricostruzione giuridica della c.d. fase amministrativa che precede la domanda di scioglimento, prendendo le mosse dall’interpretazione sistematica dell’art. 1 co. 24 della L. 76/2016, così come integrato dal D. Lgs. 5/2017 il quale, introducendo la lettera g-quinques all’art. 63 del D.P.R. n. 396/2000, ha espressamente ribadito che la volontà di sciogliere l’unione civile possa essere manifestata da una o da entrambe le parti, con obbligo della relativa comunicazione all’altra parte mediante lettera raccomandata.

Premesso, infatti, che il co. 24 dell’art. 1 della citata legge prevede che “l’unione civile si scioglie, inoltre, quando le parti hanno manifestato anche disgiuntamente la volontà di scioglimento dinanzi all’ufficiale dello stato civile. In tale caso la domanda di scioglimento dell’unione civile e’ proposta decorsi tre mesi dalla data della manifestazione di volontà di scioglimento dell’unione”, il Tribunale di Novara ha stabilito che la dichiarazione di volontà rappresenta il presupposto per presentare “la domanda di scioglimento”, la quale non potrà essere avanzata prima che sia trascorso il termine dilatorio di tre mesi dalla data in cui è stata effettuata la dichiarazione davanti all’ufficiale di Stato Civile.

Con la conseguenza che, poiché il co. 24 non qualifica espressamente tale dichiarazione come condizione di procedibilità dell’azione, né fa discendere alcuna conseguenza dall’inadempimento di tale incombente, la rituale notifica del ricorso per lo scioglimento dell’unione civile al partner può tener luogo all’invio della lettera raccomandata, in quanto idonea al raggiungimento dello scopo che la norma si prefigge. Inoltre, la medesima manifestazione di volontà ribadita dall’attore davanti al Presidente del Tribunale assume il valore della dichiarazione di volontà davanti all’ufficiale di Stato Civile, realizzando l’obiettivo della norma di cristallizzare, in maniera formale, il momento in cui il partner manifesta la propria volontà di sciogliere l’unione, al fine di consentire il decorso del termine di tre mesi.

Sicché, prosegue l’onorevole Tribunale, “in assenza di indici contrari all’interno della legge Cirinnà ed al ricorrere delle circostanze sopra indicate, la fase amministrativa, pur ordinariamente prevista dal legislatore, non costituisce passaggio indefettibile per l’esame, nel merito, della domanda di scioglimento dell’unione civile; e ciò anche a contemperare il rispetto del dato normativo con i principi di economia processuale e ragionevole durata del processo di matrice costituzionale”. Diversamente, infatti, il giudizio dovrebbe irrimediabilmente concludersi con una pronuncia di improcedibilità del ricorso, così costringendo la parte alla riproposizione della propria domanda.

Pertanto, sia che si intraprenda la via giurisdizionale (proposizione della domanda di divorzio congiunto oppure proposizione della domanda di divorzio in sede contenziosa), sia che si intraprenda la strada stragiudiziale (negoziazione assistita o scioglimento dell’unione civile davanti al Sindaco in qualità di ufficiale di Stato Civile), la dichiarazione di volontà resa davanti all’ufficiale di Stato Civile non costituisce una condizione di procedibilità dell’azione, potendo essere sostituita dalle menzionate circostanze, che non impediscono affatto una pronuncia sul merito.

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