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– di Mario Dusi.

Con sentenza Sentenza 35792-2018 la V^ Sezione Penale della Corte Suprema di Cassazione (depositata in data 26 luglio 2018) prende posizione su una delicata vicenda legata alla legge 179/2017, meglio nota come “Whistleblowing” all’intero della Pubblica Amministrazione, indicando esattamente i limiti e i parametri di applicazione della medesima.

Si trattava in questo caso di un pubblico dipendente che fattivamente, con atti svolti anche al di fuori dell’attività (e del luogo) lavorativa quotidiana si era trasformato in un novello 007 italico per “incastrare” un collega che probabilmente teneva comportamenti lavorativi non corretti.

La Suprema Corte, con la decisione sopra menzionata, ha chiaramente statuito che l’attività, così come regolamentata dalla normativa è volta ad acquisire solo informazioni nell’ambiente lavorativo e non fonda alcun obbligo di acquisizione delle informazioni fuori dai luoghi di lavoro, nè autorizza improprie attività investigative, se del caso, addirittura in violazione dei limiti posti dalla legge, seppur a tutela dell’attività della Pubblica Amministrazione.

Prosegue la Suprema Corte indicando che la sopra citata legge si limita a scongiurare conseguenze sfavorevoli, limitatamente al rapporto di impiego, per il segnalante che acquisisca, nel contesto lavorativo, notizie su un’attività illecita, con ciò individuando in modo ben preciso la portata della norma.

Come noto la legge sul Whistleblowing è ora in applicazione non solo nella Pubblica Amministrazione ma anche per gli Enti privati e va (rispettivamente) coordinata con la normativa sull’antiriciclaggio e con il D.Lgs. 231/2001, divenendo così ulteriore fonte di obblighi normativi in entrambi i settori.