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– di Laura Basso.

Con sentenza n. 4485 del 23 febbraio 2018, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate sull’incidenza dell’intervento legislativo di cui al D. Lgs. n. 150 del 2011, il quale, agendo sulle disposizioni di cui della L. n. 794 del 1942, artt. 28-30, ha sostituito l’art. 28 ed abrogato gli artt. 29 e 30, trasferendo la relativa disciplina procedimentale nell’art. 14 del D. Lgs. menzionato, riconducendola alla figura del procedimento di cognizione sommario, ma non nella versione di cui al modello codicistico, bensì secondo un modello speciale, fermi restando i criteri della competenza.

Afferma la Suprema Corte che, “a seguito dell’introduzione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, la controversia di cui alla L. n. 794 del 1942, art. 28, come sostituito dal citato D.Lgs., può essere introdotta:

a) o con un ricorso ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c. che dà luogo ad un procedimento sommario “speciale”, disciplinato dal combinato disposto dell’art. 14 e degli artt. 3 e 4 del citato D.Lgs. e dunque dalle norme degli artt. 702-bis c.p.c. e segg. (Tribunale in composizione collegiale), salve le deroghe previste dalle dette disposizioni del D.Lgs.”;

“b) o con il procedimento per decreto ingiuntivo ai sensi degli artt. 633 c.p.c. e segg., l’opposizione avverso il quale si propone con ricorso ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c. e segg. ed è disciplinata come sub a), ferma restando l’applicazione delle norme speciali che dopo l’opposizione esprimono la permanenza della tutela privilegiata del creditore e segnatamente degli artt. 648, 649 e 653 c.p.c. (quest’ultimo da applicarsi in combinato disposto con dell’art. 14, u.c. e con il penultimo comma dell’art. 702-ter c.p.c.).

Resta, invece, esclusa la possibilità di introdurre l’azione sia con il rito di cognizione ordinaria e sia con quello del procedimento sommario ordinario codicistico, di cui agli artt. 702-bis c.p.c. e segg.” (Tribunale in composizione monocratica).

Le domande introdotte con i ridetti riti non sono praticabili ovverosia i ridetti riti non sono ammissibili per la proposizione delle descritte domande.

Prosegue altresì la Suprema Corte affermando che “la controversia di cui alla L. n. 794 del 1942, art. 28, tanto se introdotta con ricorso ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c., quanto se introdotta con ricorso per decreto ingiuntivo, ha ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell’avvocato tanto se prima della lite vi sia una contestazione sull’an debeatur, quanto se non vi sia e, una volta introdotta, resta soggetta (nel secondo caso a seguito dell’opposizione) al rito indicato dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, anche quando il cliente dell’avvocato non si limiti a sollevare contestazioni sulla quantificazione del credito alla stregua della tariffa, ma sollevi contestazioni in ordine all’esistenza del rapporto, alle prestazioni eseguite ed in genere riguardo all’an.

Soltanto qualora il convenuto svolga una difesa che si articoli con la proposizione di una domanda (riconvenzionale, di compensazione, di accertamento con efficacia di giudicato di un rapporto pregiudicante), l’introduzione di una domanda ulteriore rispetto a quella originaria e la sua esorbitanza dal rito di cui all’art. 14 comporta – sempre che non si ponga anche un problema di spostamento della competenza per ragioni di connessione (da risolversi ai sensi delle disposizioni degli artt. 34, 35 e 36 c.p.c.) e, se è stata adita la corte di appello, il problema della soggezione della domanda del cliente alla competenza di un giudice di primo grado, che ne impone la rimessione ad esso – che, ai sensi dell’art. 702-ter c.p.c., comma 4, si debba dar corso alla trattazione di detta domanda con il rito sommario congiuntamente a quella ex art. 14, qualora anche la domanda introdotta dal cliente si presti ad un’istruzione sommaria, mentre, in caso contrario, si impone di separarne la trattazione e di procedervi con il rito per essa di regola previsto (non potendo trovare applicazione, per l’esistenza della norma speciale, la possibilità di unitaria trattazione con il rito ordinario sull’intero cumulo di cause ai sensi dell’art. 40 c.p.c., comma 3)“.

La competenza delle azioni poste in essere dall’avvocato per il recupero dei propri crediti professionali giudiziali ex art. 14 D. Lgs. 150/2011 viene stabilita in quella dell’ufficio giudiziario di merito presso il quale sono state svolte le prestazioni giudiziali per il cui compenso l’avvocato agisce, ma il ridetto criterio di competenza non è dichiarato espressamente inderogabile dal legislatore. Infatti, se l’attore aziona il proprio credito mediante uno dei due riti introduttivi alternativi ammissibili, è altresì competente il giudice che avrebbe potuto essere adito mediante il rito monitorio, modalità di azionabilità della domanda che esclude l’esclusività della competenza del giudice del luogo in cui le prestazioni professionali sono state espletate.

Se la domanda è proposta nei confronti del consumatore, il foro speciale della residenza o del domicilio del medesimo, previsto dal D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 33, comma 2, lett. u), prevale in quanto foro esclusivo, sicché ognuno dei sopra menzionati fori potrà essere azionato solo in quanto, sul piano territoriale, coincida con quello del consumatore.

Con riguardo all’oggetto della domanda proposta dall’avvocato, afferma inoltre la Suprema Corte che il nuovo testo dell’art. 28, sostituito del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 34, n. 16, lett. a) disciplina “la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura.

Si tratta – secondo un’esegesi consolidata – di una controversia e, quindi, di una correlata domanda, con cui l’avvocato chiede la “liquidazione” delle spettanze della sua attività professionale svolta in un giudizio civile o con l’espletamento di prestazioni professionali che si pongano “in stretto rapporto di dipendenza con il mandato relativo alla difesa o alla rappresentanza giudiziale, in modo da potersi considerare esplicazione di attività strumentale o complementare di quella propriamente processuale, restando, invece, esclusa l’attività professionale stragiudiziale civile che non abbia detta natura”.

La pretesa di compensi per attività sia giudiziali che stragiudiziali andrà pertanto azionata con separati procedimenti, distinti secondo le regole di rito e della competenza, a norma del combinato disposto dell’art. 28 della legge del 1942 e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14.

Inoltre, sempre a norma del combinato disposto di dette norme e dell’art. 637 c.p.c., nel caso di pretese per attività giudiziali svolte davanti a differenti organi giurisdizionali, le relative domande potranno essere azionate come segue:

  1. a) in cumulo, con il rito monitorio ai sensi dell’art. 637 c.c., comma 1 e, dunque, davanti al tribunale competente secondo le regole della cognizione ordinaria;
  2. b) separatamente, davanti all’ufficio di espletamento delle prestazioni ai sensi del secondo comma della stessa norma;
  3. c) cumulativamente, davanti al tribunale del luogo indicato dell’art. 637 c.p.c., comma 3.

Il tutto, sempre considerando l’eventuale prevalenza del foro speciale del consumatore.