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– di Gabriella Crosariol

Il D.Lgs 231/2001 ha introdotto una nuova responsabilità amministrativa/penale applicabile a tutte le aziende ed enti (che non siano pubblica amministrazione ed abbiano uno scopo economico). Detto decreto ha una portata estremamente allargata ed è in costante ampliamento da parte del legislatore, che continuamente inserisce fattispecie penalistiche, costituenti i c.d. reati presupposto.

Naturalmente anche l’estensione applicativa della giurisprudenza contribuisce all’allargamento della portata di applicazione di tale normativa.

Di recente la Cassazione (Sez. 6 Penale) con sentenza 17 marzo 2016 ha confermato la sanzione amministrativa pecuniaria, oltre alla confisca per equivalente dell’importo del profitto del reato,  ad una società italiana S.p.A., facente parte di una joint venture internazionale, che aveva partecipato ad un reato di corruzione internazionale, aggravata in concorso, per la realizzazione di un impianto di liquefazione di gas naturale in Nigeria. Lo schema del meccanismo corruttivo accertato consisteva nel pagare somme di denaro ad esponenti del Governo nigeriano, per ottenere delle commesse. L’aggiudicazione dei relativi contratti era quindi il frutto degli accordi corruttivi conclusi dalla joint venture internazionale con i massimi esponenti pubblici della Nigeria.

La Cassazione in tale occasione ha affermato il principio che nemmeno la fusione per incorporazione della società che aveva commesso il reato era servito a scagionare la società incorporante, poiché la fusione per incorporazione “aveva infatti determinato la continuità della società incorporata con l’effetto di far cumulare la responsabilità di quest’ultima con quelle proprie dell’incorporante”. “Trattandosi di un’operazione rimessa alla libera determinazione dei soggetti, la due diligence che deve accompagnare la vicenda modificativa offre in ogni caso alla società incorporante le garanzie – …. – per essere pienamente consapevole dei rischi nell’acquisire una società attinta da illeciti amministrativi”.

La Cassazione ha continuato affermando che “è principio consolidato che, ai fini della punibilità dei reati commessi in parte all’estero, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato anche solo un frammento della condotta, che, seppur privo dei requisiti di idoneità e di inequivoca città richiesti per il tentativo, sia apprezzabile in modo tale da collegare la parte della condotta realizzata in Italia a quella realizzata in territorio estero. A tal fine è stata ritenuta sufficiente l’essersi verificata in Italia anche la sola ideazione del delitto, quantunque la restante condotta sia stata attuata all’estero.”

Nemmeno la formale adozione di un modello organizzativo 231/2001 era stata sufficiente nello specifico a scagionare la S.p.A. italiana, in quanto questo si era dimostrato non idoneo a prevenire il reato presupposto. Infatti, tutte le misure di prevenzione reati adottate dalla S.p.A. erano state dichiarate dal Giudice non idonee a prevenire i reati di corruzione. Nemmeno il modello di organizzazione aziendale era adeguato, in quanto prevedeva “misure preventive solo sulla carta, inoltre era stata riscontrata “l’assenza di alcun tipo di garanzia in grado di impedire o quantomeno rendere più difficile la partecipazione dei rappresentanti della S.p.A. alla complessiva corruzione attuata per aggiudicarsi i vari contratti (quali il comitato di controllo, interna l’audit, ecc.)”

La Corte suprema continua affermando che “la Corte d’appello, dopo aver esaminato le cautele organizzative apprestate e averne stabilito la inidoneità, ha utilizzato quale argomento rafforzativo della sussistenza della responsabilità dell’ente quello di aver adottato una politica aziendale di mero formalismo cartolare (paper compliance policy), come era dato trarre dalla sistematica violazione da parte dei suoi responsabili della normativa penale e dell’entità dei fondi impiegati nelle dazioni corruttive. Invero nel caso in esame, dal giugno 2004 sino al dicembre 2004, nonostante l’azione del modello, si erano susseguite – senza alcuna soluzione di continuità rispetto a quanto avvenuto in precedenza – le attività corruttive realizzate dalla S.p.A. attraverso i suoi intermediari che subivano una sospensione solo a seguito dell’inizio delle investigazioni penali”.

Concludendo, in caso di corruzione, la recente decisione della Cassazione ha così confermato che non valgono come esimenti:

  • ne’ le ipotesi di attuazione all’estero di condotte illecite, qualora anche solo parte della condotta, es. l’ideazione o parte dell’ideazione del disegno criminoso, sia avvenuta in Italia;
  • ne’ fusioni per incorporazione di società che abbiano partecipato all’illecito, infatti si presume che la società incorporante abbia eseguito una accurata diu diligence e sia quindi consapevole dei rischi a cui vada incontro con la fusione, diventando così responsabile degli illeciti compiuti dalla società incorporata;
  • ne’ l’adozione di misure di prevenzione puramente formali e quindi non idonee a prevenire gli illeciti di corruzione (internazionale).

In tal modo l’applicazione della responsabilità penale ex. D.Lgs 231/2001 viene confermata e costantemente ampliata anche a livello di fattispecie internazionale.