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– di Niccolò Poli.

La Suprema Corte, con sentenza n. 19030-2018, ha confermato un costante orientamento in merito alla legittimazione passiva di un soggetto chiamato all’eredità rispetto all’avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate.

La vicenda prende le mosse da due avvisi di accertamento ai fini IVA, IRAP e IRPEF notificati dall’Agenzia delle Entrate rispettivamente alla moglie ed alla figlia del de cuius, in qualità di chiamate all’eredità.

A seguito dell’accoglimento del ricorso promosso dalle due contribuenti, accolto presso la Commissione Provinciale di Taranto e successivamente presso la Commissione Tributaria Regionale, l’Agenzia delle Entrate promuoveva ricorso per Cassazione.

Gli Ermellini rigettando il ricorso hanno di fatto ribadito un costante orientamento, in essere sin dagli anni ’90, secondo il quale “”la delazione che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non e’ di per se’ sola sufficiente all’acquisto della qualita’ di erede, perche’ a tale effetto e’ necessaria anche, da parte del chiamato, l’accettazione mediante “aditio” oppure per effetto di “pro herede gestio” oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all’articolo 485 c.c.”; precisando come sia onere della parte procedente (quindi dell’Agenzia delle Entrare) provare l’accettazione dell’eredità e pertanto quella confusione patrimoniale che fa sorgere in capo all’erede la legittimazione passiva per le obbligazioni riferibili al de cuius.

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