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– Mario Dusi.

È legittimo per un professionista rendere prestazioni non fatturate a parenti e amici, purché in quantità contenuta rispetto al totale delle prestazioni e al reddito dichiarato.

È quanto stabilito dalla Corte di Giustizia Tributaria delle Marche, con la sentenza n. 195/2023, in accoglimento dell’appello presentato da un notaio, cui erano state contestate, dall’Agenzia delle Entrate, omesse fatturazioni di compensi per 17.165,96 Euro.

La contestazione dell’ente tributario era sorta in riferimento ad alcune fatture emesse solo a titolo di rimborso spese (anticipate in nome e per conto dei clienti), senza che vi fosse l’indicazione di un compenso percepito o con l’indicazione di un compenso irrisorio rispetto al valore dell’atto: secondo l’Ufficio, non poteva essere plausibile e verosimile che il notaio non avesse richiesto alcun compenso per la redazione di atti, anche di valore molto elevato.

Il contribuente aveva, dunque, proposto ricorso avverso l’avviso di accertamento, deducendo, nella sua difesa, che le fatture in esame erano state emesse nei confronti di pochi clienti e solo a titolo di rimborso spese, quindi senza compenso, in quanto riferibili a persone con cui aveva legami di amicizia o verso cui nutriva sentimenti di riconoscenza.

La Commissione Tributaria Provinciale di Ancona aveva rigettato il ricorso, affermando che il notaio avrebbe dovuto fatturare comunque i compensi e accollarsi il relativo onere fiscale, che, in tal modo, risultava invece accollato a tutti i cittadini contribuenti.

In senso contrario la pronuncia di secondo grado: secondo la CGT Marche “il notaio ha agito correttamente, non avendo alcun obbligo di emettere fattura in relazione a prestazioni effettuate ma per le quali non ha percepito alcun compenso, essendo in particolare del tutto lecito offrire servizi professionali gratuiti ad amici e parenti senza che da ciò possa presumersi invece l’esistenza di redditi non dichiarati”.

L’onerosità, specifica la Corte, costituisce un elemento normale, ma non essenziale del contratto d’opera, per cui è ben possibile per le parti concludere accordi (anche verbalmente o per facta concludentia) che escludano il diritto del professionista a un compenso.

La stessa Agenzia delle Entrate si è espressa in questo senso anche nella circolare del 28 settembre 2001, n. 84/E, ammettendo che la gratuità delle prestazioni può essere considerata verosimile nei confronti di parenti o di amici.

Nel caso in esame, poi, non si può nemmeno sostenere che la mancata onerosità integri la fattispecie dell’antieconomicità o irragionevolezza comportamentale del libero professionista, essendo la stessa incompatibile con una sana gestione dell’attività.

Il notaio, infatti, ha rinunciato a richiedere un compenso a solamente 5 clienti su 605 complessivi nell’anno: un numero ritenuto trascurabile dalla Corte e che, pertanto, può ben verosimilmente riferirsi ad amici o persone nei cui confronti il notaio nutre sentimenti particolari, tutti soggetti per cui la gratuità delle prestazioni è considerata plausibile e giustificata.

Varrà questo precedente anche per gli avvocati?