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– di Mario Dusi.

Uno dei temi di maggior importanza nel rapporto tra compagnia assicurativa e/o agenti e broker è quello relativo al “maneggio” ed incasso dei danari, collegato alla prescrizione normativa inerente al conto corrente separato, di cui ancora oggi pochi intermediari assicurativi (purtroppo) usufruiscono.

Nel rapporto contrattuale di cui sopra, le parti debbono stabilire se il broker sia (o meno) autorizzato all’incasso per la Compagnia; nella maggior parte dei casi, il broker è espressamente autorizzato ad incassare – in nome e per conto del “titolare dei danari” – i premi dovuti per le assicurazioni relative al proprio portafoglio. Il broker risulta responsabile dei premi incassati, essendo semplice depositario a titolo gratuito delle somme riscosse, sino alla rimessa all’effettivo proprietario.

Ne deriva che, all’atto della ricezione dei premi, il broker non agisce in proprio, ma secondo l’esplicita qualità di delegato (qualità che, del resto, attribuisce efficacia liberatoria ai pagamenti effettuati dai clienti), con la conseguenza che sussistono tutti i presupposti per ritenere nella specie configurabile il delitto di appropriazione indebita se non inoltra i danari alla Compagnia.

La sentenza della Suprema Corte Penale (poc’anzi riassunta – la num. 39396 del 2019) concretizza dunque il delitto di appropriazione indebita e va coordinata con altra sentenza di Cassazione (num. 21322 del 2018) che esclude ogni esonero di responsabilità basato sul fatto che (per definizione sia civilistica che penalistica) il broker agisce “su incarico del cliente e senza poteri di rappresentanza di imprese di assicurazione”.

Fatto questo irrilevante in quanto il reato viene accertato con riferimento al diverso momento della “consapevole appropriazione di una rilevante somma che l’imputato avrebbe dovuto corrispondere all’agenzia – per il successivo trasferimento alla compagnia – con la quale aveva un rapporto contrattuale di collaborazione che lo obbligava esplicitamente a rimettere gli incassi”.

Rincara la dose la sentenza 33612/2021 (sempre Corte di Cassazione) la quale – in caso di incasso dai clienti da parte di una incaricata di una agenzia assicurativa (sotto contratto con la medesima), che non versava le somme né alla compagnia né alla agenzia (stornando formalmente le polizze) – non solo ha confermato il delitto di appropriazione indebita, ma ha anche condannato l’Agenzia.

Infatti, riferisce la Corte: “L’agente generale che aveva dato mandato all’incaricata ha subito il danno derivante dalla somma dei premi che avrebbe incassato e che l’imputata ha indebitamente trattenuto. Nonostante ciò, il querelante è soggetto pienamente legittimato ad esercitare il diritto di querela poiché ha subito il danno derivante dall’illecito dell’imputata, che ha operato in forza del mandato conferitole.

La corte ha altresì evidenziato che potrebbe configurarsi anche la truffa in danno dei singoli assicurati, ma gli stessi non proposero querela perché […] l’agente generale aveva provveduto a riattivare le coperture assicurative, riparando al danno cagionato dalla sua incaricata”.

Così facendo la Suprema Corte si è conformata alla consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui integra il delitto di appropriazione indebita la condotta del broker assicurativo che, nella sua qualità ed autorizzato all’incasso, si sia appropriato delle somme percepite quali premi per polizze assicurative.

Anche in questo caso i broker debbono avere un notevole grado di controllo sui propri incaricati, onde evitare responsabilità – anche penali – che potrebbero compromettere le loro attività e professione.