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– di Mario Dusi.

Dopo più di un mese dalla dichiarazione di pandemia da parte dello OMS (11.03.2020) ed un lungo lockdown di tutte le attività produttive e commerciali in Italia, la pressione da parte delle varie associazioni di categoria, tra cui Confindustria, per concretizzare la fase 2, ossia quella della riapertura di tutte le attività del mercato, è molto forte.

Lo sport, e soprattutto il mondo del calcio professionistico (la Serie A), è uno dei settori con un elevato volume di affari (e quindi lavoro per molteplici business units, dalle televisioni, alle pubblicità e certo non ultimo, con gli stadi); è da giorni che si leggono svariati articoli in cui Presidenti di clubs fanno pressione affinché il campionato italiano, ed in particolare quello  di serie A, giunga a conclusione, potendo così portare nuovamente ed in tempi brevissimi le squadre in campo. Il contraltare a ciò è dato dalla prudente posizione dell’Associazione Italiana Calciatori (AIC) che frena su tale aspetto, a maggior tutela della loro salute di tutti i calciatori.

A parere dello scrivente le società calcistiche non possono allo stato far tornare in campo le proprie squadre se intendono, consequenzialmente alla struttura che si sono imposti, in tema di applicazione del decreto legislativo 231/2001, rispettare le norme: vediamo i punti fermi di questa vicenda.

1       Il D.Lgs 231/2001 ha via via e gradualmente trovato concreta applicazione nell’ordinamento calcistico grazie al suo recepimento da parte della F.I.G.C. e delle Leghe a partire dal 2007 (prime indicazioni sull’adozione dei Modelli Organizzativi –in breve MOG– per le squadre di calcio), passando per il nuovo Codice della Giustizia Sportiva, per giungere all’ottobre 2019, allorquando il Presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio ha dettato precise linee guida per l’adozione dei ridetti modelli, ai sensi del decreto sopra citato.

     Un semplice sguardo online sui siti delle principali squadre calcistiche italiane denota come tutte abbiano adottato un Codice Etico, nonché un MOG, ai sensi del noto decreto, impegnandosi – dunque – a rispettarli!

3       In questo scenario e particolare momento storico, è altresì pacifico come il rischio di contagio da Coronavirus rientri pienamente nelle prescrizioni di cui al D.Lgs. 81/2008, ossia delle norme che disciplinano la sicurezza nei luoghi di lavoro.Il mancato rispetto di queste norme rientra (a sua volta) nel novero dei reati presupposto di applicazione della “231” potendo, infine, concretizzare, nel caso di contrazione della malattia (come ben dimostrano le cronache delle prime denunce/querele depositate in questi giorni presso le Procure della Repubblica), l’ipotesi di reato di epidemia o pandemia colposa, che farebbe insorgere la concreta possibilità di responsabilità aziendale ex 231/2001.

4       Tutte le società calcistiche si sono impegnate – adottando (appunto) le norme del D.Lgs. 231/2001 – a rispettare un codice etico (auto imposto), concretizzandolo nei MOG, così da agire efficacemente e costantemente in modo tale che tutti i possibili rischi, di cui al lungo elenco dei reati presupposto della norma (tra cui l’esposizione agli agenti biologici), vengano prevenuti ed evitati.

5       Allo stato, in assenza di un vaccino/antidoto, il concreto rischio di esposizione alla malattia non può essere escluso (o peggio sottovalutato!), se non (alla luce delle normative promulgate ad oggi, e del noto Protocollo tra le Parti Sociali del 14/03/2020) tramite il costante uso dei DPI e il rispetto delle distanze di sicurezza; pare però, a chi scrive, che tali prescrizioni non possano essere applicate in una partita, dubitando che i 22 in campo possano giocare 90 minuti con mascherine e guanti di latex, o che venga mantenuta la distanza minima di sicurezza (con difese a più di un metro dagli attaccanti?).

6       L’eventuale mancato rispetto di quanto sopra (in termini di modalità lavorative di sicurezza, imposte ad oggi dalle norme emergenziali) comporterebbe da parte delle società calcistiche il far giocare in condizioni di gravissimo rischio le proprie squadre, con un indubbio vantaggio economico (ossia tutti gli introiti di cui alle partite), che è ulteriore presupposto della applicazione della norma: vi sarebbe pertanto una palese responsabilità ex 231/2001 dei clubs, anche senza un effettivo caso di malattia!

Pare pacifico, quindi, come la tempistica di rientro in campo dei giocatori di Serie A non sarà data esclusivamente dai provvedimenti del Governo, ma dovrà essere anche (e soprattutto) ponderata in forza dei modelli organizzativi ex 231 di ogni singola società calcistica, giacché l’applicazione di tale norma è divenuta obbligatoria, e il rispetto del codice etico e del modello organizzativo non potranno essere semplicemente “dimenticati” in un cassetto, a meri fini di lucro.

Dovesse ammalarsi per più di 40 giorni (evitando qui di ipotizzare un più triste epilogo) un giocatore e/o un membro del restante staff di una squadra, un Pubblico Ministero dovrebbe intervenire immediatamente: applicherebbe le sanzioni interdittive, tra cui quella di togliere alla squadra la facoltà di giocare il campionato?

Potrebbe il PM intervenire per sostituire il Presidente della società con un Commissario Giudiziale?

Può la AIC richiamare le società all’applicazione di questa norma?

Quali sarebbero le responsabilità dell’Organismo di Vigilanza (ODV), previsto quale fattore esimente dalla norma, che non si attivasse e comunicasse al Presidente della società l’impossibilità a scendere in campo per il necessario rispetto del MOG 231?

Questi i primi quesiti da porsi in materia, per un maggior rispetto della salute dei calciatori e soprattutto del decreto legislativo 231/2001, così come obbligatorio ed adottato da tutte le società calcistiche della Seria A (e non solo quelle della massima serie).