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– di Laura Basso.

La Legge “Cirinnà” n. 76 del 2016 ha inserito nel quadro normativo nazionale un istituto giuridico prima sconosciuto, disciplinando, oltre alle ipotesi di “convivenza”, “le unioni civili tra persone dello stesso sesso, individuandone il fondamento nel riconoscimento, ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione, del carattere di “specifica formazione sociale”.

Secondo la citata legge, due persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono  un’unione civile mediante dichiarazione da rendersi, alla presenza di due testimoni, di fronte all’ufficiale di stato civile, il quale procederà alla successiva registrazione dell’unione nell’archivio dello stato civile.

Al contempo, la convivenza diviene giuridicamente rilevante quando due persone maggiorenni (tra loro non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile) unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, coabitano ed hanno dimora abituale nello stesso comune (e cioè, ex art. 4 del D.P.R. 223/1989, compaiano nel medesimo certificato di stato di famiglia). La nuova legge – pur ribadendo l’irrilevanza della convivenza per ciò che concerne i rapporti personali tra i conviventi – riconnette a tale situazione di fatto, una serie di diritti relativi sia alla sfera della tutela della persona (ad esempio in materia ospedaliera), sia a quella patrimoniale (ad esempio il diritto a partecipare ad un’impresa familiare).

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Tutela e diritti riconosciuti alle parti delle unioni civili ex art. 1 della Legge 76/2016

La menzionata legge – che si conforma pienamente ai principi affermati dalla CEDU ed è altresì compatibile con gli obblighi internazionali in materia – pur richiamandosi alla disciplina del matrimonio, delinea l’istituto dell’unione civile in modo distinto ed autonomo individuando gli elementi essenziali del rapporto giuridico nascente dalla costituzione dell’unione civile, quali i presupposti soggettivi ed oggettivi per la costituzione, le modalità di costituzione e di scioglimento, i diritti e doveri reciproci delle parti dell’unione (sotto il profilo morale, patrimoniale e successorio).

Al fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile, dispone l’equiparazione del termine “coniuge” o equivalente, a quello di “parte dell’unione civile”, ovunque ricorrano (nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi).

In ogni caso, la legge espressamente prevede quanto segue:

  1. Le parti dell’unione civile acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Hanno l’obbligo reciproco di assistenza morale e materiale, di coabitazione, di contribuire, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, ai bisogni comuni.
  2. Il regine patrimoniale dell’unione civile, in assenza di specifiche convenzioni tra i conviventi, viene stabilito nella comunione.
  1. In caso di cessazione dell’unione civile:

Premesso che allo scioglimento dell’unione civile si applicano, in quanto compatibili, le norme sul divorzio di cui alla legge n. 898 del 1970 – come anche le discipline acceleratorie quali la negoziazione assistita mediante accordo davanti al sindaco quale ufficiale di stato civile, bypassando, in ogni caso, la separazione –  il medesimo avrà luogo altresì:

A. quando le parti hanno manifestato, anche disgiuntamente, la volontà di scioglimento dinanzi all’ufficiale dello stato civile. In tale caso la domanda di scioglimento dell’unione civile va proposta decorsi tre mesi dalla data della manifestazione di volontà di scioglimento dell’unione.

B. Quando interviene una sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, registrata all’anagrafe. In tal caso, tuttavia, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.

I diritti riconosciuti in caso di cessazione dell’unione civile sono:

  • Diritto al versamento dell’assegno divorzile (omissione sanzionata penalmente ex 570 c.p.)
  • Diritto/obbligo al mantenimento

 

In materia di successioni ereditarie si rimanda a specifica trattazione sempre su dusilaw.eu, sezione blog.

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Tutela e diritti riconosciuti ai conviventi di fatto ex art. 1 della Legge 76/2016

  1. Il convivente di fatto può essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora l’altra parte sia dichiarata interdetta o inabilitata ai sensi delle norme vigenti ovvero ricorrano i presupposti di cui all’articolo 404 del codice civile.
  2. In caso di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha la facoltà di succedergli nel contratto ossia ha diritto di continuare ad abitare nella stessa casa per due anni o per un periodo pari alla convivenza, se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Tale diritto viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto.

Inoltre, nel caso in cui l’appartenenza ad un nucleo familiare costituisca titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di tale titolo o causa di preferenza possono godere, a parità di condizioni, i conviventi di fatto.

  1. Secondo il nuovo art. 230 ter c.c., al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato.
  2. I conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza, da redigersi (oltre che modificarsi e/o risolversi) in forma scritta richiesta ab substantiam, ai fini, altresì, dell’attestazione della conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico.

Il ridetto contratto di convivenza può contenere:

a) l’indicazione della residenza;

b) le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo;

c) il regime patrimoniale dell’unione, se differente rispetto alla comunione, che può essere modificato in qualunque momento nel corso della convivenza.

Ai fini dell’opponibilità ai terzi del contratto di convivenza, è necessario, entro dieci giorni dalla sottoscrizione del medesimo, trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe ai sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223.

  1. In caso di cessazione della convivenza di fatto:

Il convivente ha diritto agli alimenti, con precedenza rispetto ai fratelli ed alle sorelle, se in stato di bisogno e se non in grado di provvedervi autonomamente, in proporzione alla durata della convivenza e nella misura determinata dall’art. 438  co. 2 c.c.

La domanda tesa ad ottenere gli alimenti nei confronti del convivente avente diritto, in quanto più debole economicamente secondo la ratio dell’istituto di cui art. 430 c.c., deve essere proposta con giudizio autonomo e distinto e non nella controversia riguardante la regolamentazione dell’affido dei figli minori.

  1. In materia di successioni ereditarie si rimanda a specifica trattazione sempre su www.dusilaw.eu, sezione blog.

 

  1. I conviventi di fatto hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario.

Così, ad esempio,  in caso di malattia o di ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza nonché di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari.

In materia di lavoro e previdenziale, la L. 76/2016 prevede espressamente, con riguardo alle unioni civili ed alla convivenza tra persone dello stesso sesso, quanto segue:

In caso di morte del prestatore di lavoro, il convivente avrà diritto alle indennità previste dagli artt. 2118 e 2119 c.c. (indennità di preavviso, agevolazioni lavorative quali permessi e congedi, tradizionalmente riservate solamente al coniuge). Il convivente superstite avrà inoltre diritto, ex art. 2120 c.c. e 12-bis della L. 898/1970, all’indennità di fine rapporto (TFR) spettante all’altra parte al momento della cessazione del rapporto di lavoro, nella stessa misura in cui esso attualmente è riconosciuto all’ex coniuge divorziato e non risposato, titolare di assegno divorzile, oltre che il diritto all’ottenimento della reversibilità della pensione secondo la normativa attualmente in vigore a vantaggio del coniuge.

Infatti, con l’intervento della pronuncia n. 213 del 23 settembre 2016 della Corte Costituzionale, il convivente di fatto rientra tra i soggetti legittimati a fruire dei permessi previsti dalla legge 104/92. Nello specifico, il convivente è tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito per l’assistenza alla persona con disabilità in situazione di gravità, in alternativa al coniuge, parente o affine di secondo grado.

Con la circolare n. 38 del 27 febbraio 2017, inoltre, l’INPS ha fornito le istruzioni operative relative alla concessione dei permessi mensili e del congedo straordinario per assistenza a soggetti disabili, ai lavoratori dipendenti del settore privato, che siano parte di un’unione civile o una convivenza di fatto.

In primis, l’INPS chiarisce che la parte di un’unione civile può usufruire di permessi ex legge n. 104/92 e del congedo straordinario ex art. 42, comma 5 D.Lgs. 151/2001. Invece, per quanto riguarda il convivente di fatto di cui ai commi 36 e 37 dell’art. 1 della legge n. 76/2016 che presti assistenza all’altro convivente, può usufruire unicamente dei permessi ex lege n. 104/92.

Sicché, la parte dell’unione civile e il convivente di fatto hanno diritto ad usufruire di tre giorni di permesso mensili retribuiti nei casi in cui prestino assistenza al coniuge, a parenti o ad affini entro il secondo grado, riconosciuti in situazione di disabilità grave. Entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.

Sia il convivente di fatto che le parti dell’unione civile non possono, però, fare la richiesta per l’assistenza dei parenti del compagno, in quanto tra la parte dell’unione civile e i parenti dell’altro non si costituisce un rapporto di affinità.

Per accedere al beneficio è necessario che:

  1. il lavoratore dipendente (anche se con rapporto part-time) sia assicurato per le prestazioni economiche di maternità presso l’Inps;
  2. la persona che chiede o per la quale si chiedono i permessi sia in situazione di disabilità grave riconosciuta dalla Commissione Medica Integrata ASL/INPS;
  3. sussista la mancanza di ricovero a tempo pieno della persona in situazione di disabilità grave.

In attesa delle implementazioni procedurali, i conviventi di fatto e gli uniti civilmente possono presentare domanda alla Struttura Inps di competenza.

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Se l’equiparazione del termine coniuge o equivalente, a quello di parte dell’unione civile operata dalla Legge Cirinnà assicura l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile, agli effetti civili, tributari, amministrativi e giuslavoristici, la ridetta equiparazione non può, tuttavia, riguardare il diritto penale, specie sostanziale.

L’esigenza di tassatività/determinatezza della legge penale, ossia l’espressa previsione dei fatti che costituiscono reato in un ramo dell’ordinamento nel quale il ricorso all’analogia è normalmente vietato, rende “necessario” un intervento normativo ad hoc, in particolare considerando le conseguenze del rilievo che lo status di convivente o di unito civilmente ex L. 76/2016, può assumere a fini dell’incriminazione.

A tal proposito, si considerino, ad esempio, l’aggravamento delle pene ove una lesione personale o l’omicidio, siano commessi in danno del coniuge, come altresì alle cause di esclusione della punibilità del coniuge, in materia di delitti contro il patrimonio o contro l’amministrazione della giustizia.

Né si può ritenere in bonam partem che il fenomeno sia assimilabile alla mera convivenza, sicché non resta che attendere il richiesto adeguamento normativo nell’ambito del diritto penale.

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